mercoledì 23 febbraio 2011

COLLABORATORI DI GIUSTIZIA - OGGI - IERI - DOMANI




Purtroppo nessuno meglio di me può sapere che tantissimi Collaboratori di Giustizia fanno compromessi con quella parte deviata delle Istituzioni e persino con  Magistrati " deviati " , non sono tutti come il Giudice Borsellino o il Giudice Ingroia. Fanno un gran chiasso raccontandoci che Cosa Nostra è stata smembrata, e sicuramente verrà anche il momento in cui cattureranno  Matteo Messina Denaro, ma il vero problema va oltre tutto questo: Servizi Segreti Deviati,  Vaticano Deviato, Massoneria Deviata  sono piu' pericolosi di Cosa Nostra e di Matteo Messina Denaro,col quale prima barattavanno favori e inciuci , mentre adesso lo usano di copertuura per affari ben più grossi e pericolosi. Vergogna !!! 
Io sono sicuro che i più importanti collaboratori  di Giustizia: Brusca e Giuffre' fanno parte di un programma "mafioso" molto più vasto di quello che ci mostrano.  Come mai questi due non parlano della SUPER  COMMISSIONE e non parlano delle 5 ENTITA' ???!!!. Hanno confermato nelle Aule Giudiziarie che il piano per uccidere il Dr. Paolo Borsellino e' stato organizzato a Castelvetrano da Francesco Messina Denaro.come io ho sempre affermato.

Come mai  Brusca non parla del NOTAIO ALBANO? e dei soldi che questi gestiva per conto di COSA NOSTRA Come mai  Brusca e Giuffrè, loro  che hanno più spessore di me, non parlano del piano per uccidere il Dr. Borsellino e delle 5 ENTITA' ???? Come mai  Massimo Ciancimino, che ha ereditato i segreti del Padre,  non parla delle 5  ENTITA? ? ?

La cattura di boss mafiosi vuol dire che la Mafia delle Istituzioni deviate, della 5  ENTITA' è diventata più autonoma e più forte , tanto da gestire anche le testimonianze dei pentiti...in cambio di cosa ?
Invito tutti coloro impegnati in questa lotta contro questo cancro a rivolgere la loro attenzione su questi punti.

Io , Vincenzo Calcara,non temo chi vorrebbe gettare discredito su di me ( calcando la mano su  quello che ero prima del mio pentimento), NESSUNO POTRà  FERMARMI!  andrò avanti facendo il mio dovere di cittadino italiano che ama la VERITA' perchè, come diceva il mio Eroe Paolo Borsellino: E' DALLA VERITA' CHE NASCE LA LIBERTA' !

martedì 22 febbraio 2011

ULTERIORE CONFERMA ALLA MIA ATTENDIBILITA'

Dalla sentenza pronunciata a Firenze a proposito delle stragi del 1993 di Roma, Milano e Firenze, che recano la firma di Matteo Messina Denaro, L'ex boss e pentito Giovanni Brusca parla dell'attentato al parco archeologico di Selinunte ( che poi non fu più fatto) e dichiara che :

la stagione delle stragi fu concordata nel 1991, proprio a Castelvetrano e alla presenza di Totò Riina. Confermando la dichiarazione che io, Vincenzo Calcara, feci al Dottore Borsellino ,nel tentativo estremo di salvargli la vita .


Il Brusca afferma inoltre ; La stagione delle stragi non vide estranea per niente la mafia trapanese che se oggi mantiene un suo ruolo preciso non è solo perchè suo capo è il latitante Matteo Messina Denaro, ma perchè probabilmente mantiene legami forti con i «poteri» occulti che girano attorno al mondo politico ed istituzionale se non addirittura sono dentro alla politica e alle istituzioni.Questi legami occulti  fanno parte delle 5 entità .

Gli stessi poteri dei quali diversi magistrati parlano a proposito del fatto che «Messina Denaro riesca ancora a sfuggire alla cattura».

Ai tempi del mio pentimento e del mio incontro col Giudice Borellino, dichiarai appunto che:

la sua uccisione fu concordata nel 1991, a Castelvetrano e alla presenza del boss Riina e di Giovanni Brusca, cosa confermata anche dal pentito Giuffrè.

Inseguito ho richiesto, svariate volte, e continuo a farlo con ogni mezzo possibile, ,di volere essere ascoltato dai giudici preposti, non ho mai ricevuto un invito a presentami, neanche come persona informata dei fatti, per testimoniare circa tali stragi. 

Perchè? Forse per  qualcuno sono un pentito scomodo?


E' evidente che gli organi preposti non dimostrano interesse a fare chiarezza su molti di quei  punti .

Perchè? 

E ancora: perchè Brusca, ritenuto un collaboratore di  giustizia attendibile,  non parla anche dell'importante ruolo che ha avuto  ed ha il notaio Albano all'interno di COSA NOSTRA? Ha forse paura di qualche ritorsione?

V  E  R  G  O  G  N  A ! 
V  E  R  G  O  G  N  A !

mercoledì 16 febbraio 2011

LE CINQUE ENTITA'



Nell'Autunno del 1991, quando il Dr. Borsellino era Procuratore a Marsala, decisi di raccontargli come era strutturata Cosa Nostra, per quanto io ero riuscito a sapere. Volevo mostrargli come Cosa Nostra non fosse altro che una di quelle che io chiamo cinque Entità che, con la loro rete segretissima di collegamenti, occupano ...e influenzano gran parte della vita politica, economica e istituzionale italiana. In uno dei tanti incontri con il Dr. Borsellino, gli avevo ancora una volta esternato la mia preoccupazione per la sua vita dicendogli di mettersi al sicuro, perché solo da vivo poteva essere la mia ancora di salvezza.

Lui mi aveva risposto con queste parole: “Vincenzo, solo se togli dal tuo cuore quel negativo sentimento di paura, puoi onorare te stesso, la scelta che hai fatto e anche la fiducia che ho riposto in te e, perché no, anche quelle preziose ore che ho tolto alla mia famiglia per dedicarle a te, per sostenerti nei momenti difficili. Ricordati quello che ti dissi l’altra volta: “E’ bello morire per ciò in cui si crede, e chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Vincenzo, siamo nella stessa barca, indietro non si torna! Adesso racconta con dovizia di particolare tutto ciò che mi hai accennato sulle Entità e su quella potente Idea. Però sappi che quando ti verrò a trovare a Roma, tutto ciò che mi hai detto e mi dici sarà messo a verbale e firmato da te. Ricordati che le cose più importanti le scrivo su questa Agenda, e poi non potrai dire di non avermele dette”.


A quel punto gli dissi che mi era stato raccontato con orgoglio che queste cinque Entità sono state partorite da una potente e nobile Idea e al cuore di questa Idea sono legate indissolubilmente. Essa le nutre di nobili valori che, a loro volta, si fanno largo nel cuore e nella mente degli uomini che ne sono degni. Questo è quanto mi hanno fatto credere e a cui ho sempre creduto finché non incontrai il Dr. Borsellino.


L'unica persona che io ricordi che ha fatto cenno all'esistenza di queste cinque Entità è stato Buscetta. Al di fuori di lui, nessun altro pentito ha voluto parlarne. In realtà, queste Entità possono essere pensate anch'esse come delle Idee, forti e apparentemente indistruttibili. Per fare un esempio, è chiaro che l'idea di un palazzo è più importante del palazzo stesso: il palazzo può crollare, ma la sua idea non ne rimane scalfita. Quando si parla di Cosa Nostra e delle altre Entità ad essa collegate, bisogna tenere ben presente questo fatto: quello che conta è la qualità di queste Idee.


Quella nobile grande Idea di cui parlavo può essere allora definita come un'Idea Madre che racchiude al suo interno tutte le cinque Idee rappresentate dalle cinque Entità. Quali sono queste Entità? Eccole:


1) Cosa Nostra, 'Ndrangheta, Camorra
2) Pezzi deviati delle Istituzioni
3) Pezzi deviati ella Massoneria
4) Pezzi deviati del Vaticano
5) Servizi Segreti Deviati 


Queste cinque Entità sono intimamente legate le une alle altre, come se fossero gli organi vitali di uno stesso corpo. Hanno gli stessi interessi. Prima di tutto, la loro sopravvivenza. E per sopravvivere e restare sempre potenti si aiutano l’una con l’altra usando qualsiasi mezzo, anche il più crudele. Queste cinque Entità sono state e rappresentano tuttora una potenza economica incredibile, capace di condizionare in alcuni casi il potere politico italiano, anche quello rappresentato da persone pulite.Purtroppo si sono create delle situazioni tali che il potere politico italiano non può fare a meno di questi poteri occulti. Queste cinque Entità occulte si fondono soprattutto quando ci sono in gioco interessi finanziari ed economici condizionando così l’Italia a livello di politica e istituzioni.


C’è una regola fondamentale: ogni Entità è assolutamente autonoma. Nessuna Entità può interferire nel campo di un’altra Entità. Le regole che si attuano sono pressoché uguali a quelle di Cosa Nostra. Ad esempio. Se dentro Cosa Nostra un uomo d’onore viene “posato”, in un’altra Entità si dice “è a riposo”, oppure è “in sonno”, come ho già avuto modo di spiegare in precedenza. In ogni caso, la sostanza non cambia.


Ma come sono strutturate nello specifico?

Bene. Al vertice di ogni Entità c'è una Commissione, rappresentata da non più di 12 persone.

Ogni Commissione è presieduta da un Triumvirato, composto dal Capo Assoluto e da altre due persone che, in quanto a forza e potenza, non sono meno del Capo Assoluto. Il Triumvirato controlla i cosiddetti Soldati, persone riservatissime che si incontrano fra di loro secondo gli ordini impartiti dal Triumvirato stesso. E' importante capire che, all'interno di ogni Commissione, solo il Triumvirato è a conoscenza dell'esistenza delle altre Idee. Tutti gli altri, anche all'interno della Commissione stessa, sono all'oscuro di tutto e l'unica cosa che possono fare è scambiarsi informazioni, ma senza poter cogliere la vastità degli intrecci.


Succede però, come è naturale, che, a un certo punto, arrivi la fine di un Triumvirato. Ecco allora che sono già pronte automaticamente le “persone-ombra”, che sostituiranno i membri del Triumvirato dopo la loro morte. Ogni componente del Triumvirato si sceglie la propria Ombra (può anche essere un Capo famiglia qualsiasi) e la prepara affinché sia pronta a prendere il suo posto. In realtà, non solo i componenti del Triumvirato, ma anche ogni singolo membro della Commissione ha la propria Ombra. E' una tradizione che si tramanda nel tempo. Così come chi fa l'avvocato, poi crescerà un figlio avvocato.

E' come una sorta di clonazione.

Purtroppo, è un argomento piuttosto delicato e della massima segretezza ed io non sono riuscito a capire da chi vengano “costruite” queste Ombre, pronte alla successione.


I cinque Triumvirati, a capo delle cinque Entità, sono fra essi collegati e formano la cosiddetta Super Commissione, quella che io chiamavo Idea Madre. Ovviamente, ogni persona della Suprema Commissione ha il diritto e il dovere di scegliersi un'Ombra. Al vertice di questa Super Commissione, composta quindi da 15 persone (tre per ogni Entità), c'è un altro Triumvirato, una sorta di Super Triumvirato, a cui tutta la Super Commissione deve sottostare per le decisioni finali. I componenti di questo Super Triumvirato sono eletti con voto segreto e comandano a vita. La funzione di questa Super Commissione è quella di garantire i diritti e l'autonomia delle cinque Entità, compresa naturalmente l'Entità di Cosa Nostra.


Saranno una ventina in tutto i pentiti che sanno di questa Super Commissione, ma non ne vogliono parlare. Io non posso credere che tutti i pentiti, a parte Brusca e Cancemi, non conoscano altro all'infuori di Cosa Nostra. Tra di loro c'è qualcuno che sa. Ma hanno paura di parlare perché credono che, non parlandone, salveranno la loro vita.


So di per certo che alcuni componenti della Suprema Commissione hanno partecipato alle scrittura della Costituzione Italiana, insieme ovviamente a tanti altri uomini puliti, che però hanno paura di opporvisi perché fiutano il pericolo.


Cosa Nostra


Il braccio più armato di tutte le Entità è quello di Cosa Nostra. In questo non è seconda a nessuno.

Finora le istituzioni hanno sempre e solo colpito L'Entità di Cosa Nostra, che però è solo il braccio armato di un'Idea più grande, l'Idea Madre.

Le migliaia e migliaia di uomini d'onore che compongono Cosa Nostra sono come un esercito, sono radicati sul territorio e riducono inevitabilmente la Sicilia ad una terra martoriata. Incutono paura al popolo siciliano e impongono la cultura dell’omertà. Ogni bambino che nasce in Sicilia non può fare a meno di respirare quella cultura di morte che Cosa Nostra impone con forza.


Pezzi deviati delle Istituzioni


L’Entità dei pezzi deviati delle Istituzioni è radicata in tutto il territorio italiano. E’ composta da uomini politici, servizi segreti, magistrati, giudici e sottufficiali dei carabinieri, polizia ed esercito. Le idee di Cosa Nostra e dei pezzi deviati delle Istituzioni sono da sempre collegate. Ne è un esempio l'omicidio di Salvatore Giuliano. Questa Entità ha in seno uomini di grandissima qualità, preparati, addestrati e pronti a causare danni enormi a chiunque. Questi uomini non sono secondi ai Soldati di Cosa Nostra e vengono chiamati Gladiatori. Sono uomini riservatissimi e di grandissima importanza, in quanto hanno giurato di servire fedelmente lo Stato, ma in realtà il loro giuramento è assolutamente falso. Agli occhi dei loro colleghi puliti, che per fortuna sono in maggioranza, appaiono anche loro puliti e, con inganno, dimostrano lealtà verso le Istituzioni.
 Sono a tutti gli effetti uno Stato dentro lo Stato.


Pezzi deviati della Massoneria


La stessa cosa vale per l’Entità della Massoneria, anch'essa strettamente collegata all'Entità dei pezzi deviati delle Istituzioni. Questa Entità della Massoneria deviata, all'interno della Massoneria pulita, ha un grande potere ed enormi ricchezze e, per forza di cose, chi gestisce il potere in Italia deve venire a patti con la Massoneria. Questa Entità è stata creata attorno al 1856 all’insaputa del Re da un illustre Massone, il Conte Camillo Benso di Cavour.


Pezzi deviati del Vaticano


Anche all'interno del Vaticano c'è un'Idea. L'Entità dei pezzi deviati delle istituzioni del Vaticano è ben radicata anch’essa sul territorio Italiano.E’ composta da Vescovi, Cardinali e Nunzi Apostolici.Anche loro agli occhi di altri Vescovi e Cardinali, per fortuna in maggioranza (ma nel passato in minoranza) appaiono puliti e fedeli a Gesù Cristo e al Papa.

In realtà sono dei diavoli travestiti da santi, che sfruttano la buona fede di tante persone.

Con un metodo segreto che solo loro conoscono e grazie alla loro diabolica intelligenza, anche se in minoranza, riescono quasi sempre ad ingannare e a manipolare quei Vescovi e quei Cardinali che servono veramente con devozione ed umiltà la Chiesa.


So che a livello nazionale c’erano sguinzagliati alcuni Cardinali di prestigio per inculcare nella mente del popolo italiano il convincimento che la mafia non esistesse e che fosse solo un'invenzione dei comunisti. Il loro intento era quello di indirizzare milioni di persone a votare lo “Scudo Crociato”, la Democrazia Cristiana. Credo che nell'ex-DC coloro che facevano parte di queste Idee non superassero il 10-15%. Posso dire con certezza che circa l'80% non ne faceva parte, mentre il restante 20% era in incognito.


Il Vescovo Marcinkus, che ho nominato più e più volte, in quanto Americano non poteva far parte dell’Entità. Egli era semplicemente uno strumento del Cardinale Macchi e del notaio Albano, che sfruttavano le sue capacità nel saper gestire lo I.O.R. e le sue conoscenze a livello internazionale. Ovviamente sfruttavano soprattutto la sua ingenuitàNella Banca del Vaticano sono transitati migliaia e migliaia di miliardi appartenenti alle cinque Entità Occulte, compresa quella di Cosa Nostra (leggasi la sentenza di assoluzione per il riciclaggio di quei famosi 10 miliardi). Questi soldi venivano appunto riciclati e, una volta divenuti puliti, reinvestiti. Al notaio Albano, in qualità di notaio, venivano affidati ingenti beni immobili (terreni, ville, tenute, palazzi) che venivano intestati non solo a Cardinali e Vescovi, ma anche a uomini di Cosa Nostra, a uomini della Massoneria, a uomini politici e anche a parenti e amici che facevano da prestanome.


Tutto ciò che io dico lo dico con la certezza che nessuno potraàdimostrare che sia falso.

Se si vuole, basta che si controllano tutti gli atti notarili o i rogiti che il Notaio Albano ha fatto in vita sua. Il Dr. Borsellino ha saputo riscontrare ciò che dico. Questi riscontri li ha scritti nella sua agenda rossa!

Vincenzo Calcara

martedì 15 febbraio 2011

Biografia del giudice Paolo Borselli



Borsellino nasce a Palermo il 19/1/1940. La famiglia vive e vivrà in un
quartiere borghese di Palermo: la Magione. Borsellino è molto attaccato
a questo quartiere dove ha trascorso tutta la giovinezza. Ambedue i
genitori erano farmacisti.
Al momento dello sbarco degli alleati in Sicilia la madre di Borsellino
vieta ai figli di accettare qualsiasi dono dai soldati americani. "La
Patria è sconfitta, i sacrifici sono stati inutili, non c’è da essere
felici…" è una delle frasi della madre di Borsellino in quel momento.Queste vicende e i racconti di "Zio Ciccio", reduce della Campagna d’Africa, gli suscitano curiosità sulle vicende del periodo fascista, di cui la sua famiglia è stata protagonista. Anche il rapporto con i figli è molto forte. Cerca di proteggerli dalla realtà che è intorno a lui e, nello stesso tempo, di trasmettergli il proprio modo di essere e di agire. Un episodio per comprendere la fatica e la difficoltà di questo rapporto lo si può trovare nel momento in cui, in piena attività antimafia, Borsellino viene trasferito con Falcone sull’isola dell’Asinara per motivi di sicurezza. Fiammetta, figlia di Borsellino, sta male, viene allontanata dall’isola è malata di anoressia. La veglia la notte e cerca di aiutarla in tutti i modi. Per tutta la sua esistenza quel senso di protezione, quel senso di colpa per aver provocato problemi così grandi alla sua famiglia e, soprattutto, la volontà di stare vicino a sua figlia non lo abbandoneranno mai.
Dopo avere frequentato il Liceo classico "Meli" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. All’Università, nel 1959 Borsellino si iscrive all’organizzazione FUAN Fanalino. Membro dell’esecutivo provinciale, delegato al congresso provinciale, viene eletto come rappresentante studentesco nella lista del Fuan Fanalino. In questi anni l’attività politica lo prende molto e riesce a conciliare politica e studio senza grossi problemi. Il 27 giugno 1962, all’età di appena 22 anni, Borsellino si laurea con 110 e lode e, pochi giorni dopo, subisce la perdita del padre. Ora è affidato a lui il compito di provvedere alla famiglia. Si impegna con l’ordine dei farmacisti a tenere la farmacia del padre fino al conseguimento della laurea in farmacia di sua sorella. Tra piccoli lavoretti e le ripetizioni Borsellino studia per superare il concorso in magistratura. Ci riesce nel 1963. Fare il magistrato a Palermo ha un senso profondo, non è una professione qualunque. L’amore per la sua terra, per la giustizia gli danno quella spinta interiore che lo porta a diventare magistrato senza trascurare i doveri verso la sua famiglia.
Nel 1965 Borsellino viene mandato al tribunale civile di Enna come uditore giudiziario. Nel 1967 ha il primo incarico direttivo, Pretore a Mazara del Vallo nel periodo del dopo terremoto. Il 23 dicembre del 1968 Borsellino si sposa, continua a lavorare a Mazara facendo avanti e indietro da Palermo, anche più volte al giorno. Nel 1969 viene trasferito alla pretura di Monreale dove lavora fianco a fianco con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile. Nel 1975 Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con il Capitano Basile lavora alla prima indagine sulla mafia e da questo momento comincia il suo impegno senza sosta per sconfiggere l’organizzazione mafiosa.
Nel 1980 arriva l’arresto dei primi sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano viene ucciso in un agguato. Per la famiglia Borsellino arriva la prima scorta con le difficoltà che ne conseguono. Da questo momento il clima in casa Borsellino cambia e il giudice stesso deve relazionarsi con "quei ragazzi" che gli sono sempre a fianco e che cambieranno per sempre le abitudini sue e della sua famiglia. Il suo modo di fare, la sua decisione influenzano il "sentire" dei suoi familiari. Dalle parole della moglie, ancora, si può comprendere il rispetto e la sofferenza che si alternano nei loro cuori: "…Il suo modo di esercitare la funzione di giudice lo condivido perché anch’io credo nei valori che lo ispirano….Non penso mai, per egoismo, per desiderio di una vita facile di ostacolarlo….Non è stato un sacrificio immolare la sua vita al mestiere di giudice: ama tantissimo cercare la verità, qualunque essa sia." La scorta costringe il giudice e la sua famiglia a convivere con un nuovo sentimento: la paura. E’ così che Borsellino ne parla e la affronta: "La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti."
Il Pool comprende quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile lavorano uno a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici. Si intravede e, lentamente, si instaura un legame comunitario tra i giudici che appartengono al pool. E’ nei giovani la forza su cui contare per cambiare la mentalità della gente e i magistrati lo sanno. Vogliono scuotere le coscienze e sentire intorno a sé la stima della gente. Sia Falcone sia Borsellino hanno sempre cercato la gente. Borsellino comincia a promuovere e a partecipare ai dibattiti nelle scuole, parla ai giovani nelle feste giovanili di piazza, alle tavole rotonde per spiegare e per sconfiggere una volta per sempre la cultura mafiosa. Fino alla fine della sua vita Borsellino, nel tempo che gli rimane dopo il lavoro, cercherà di incontrare i giovani, di comunicargli questi nuovi sentimenti e di renderli protagonisti della lotta alla mafia. Parallelamente continua il lavoro nel pool. Questa squadra funziona bene, ma si comprende che per sconfiggere la mafia il pool, da solo, non è sufficiente. Si chiede la promozione di pool di giudici inquirenti, coordinati tra loro ed in continuo contatto, il potenziamento della polizia giudiziaria, l’istituzione di nuove regole per la scelta dei giudici popolari e di controlli bancari per rintracciare i capitali mafiosi. I magistrati del pool pretendono l’intervento dello stato perché si rendono conto che il loro lavoro, da solo, non basta.
Borsellino lavora senza sosta, firma provvedimenti, indaga, ascolta con dedizione e responsabilità. Per questo Chinnici scrive una lettera al presidente del tribunale di Palermo per sollecitare un encomio nei confronti suoi e di Giovanni Falcone, importante per eventuali incarichi direttivi futuri. A proposito di Borsellino così scrive Chinnici: " Magistrato degno di ammirazione, dotato di raro intuito, di eccezionale coraggio, di non comune senso di responsabilità, oggetto di gravi minacce, ha condotto a termine l’istruzione di procedimenti a carico di pericolose associazioni a delinquere di stampo mafioso". L’encomio richiesto, non è mai arrivato.
Poi il dramma. Il 4 agosto 1983 viene ucciso il giudice Rocco Chinnici con un’autobomba. Borsellino è distrutto dopo Basile anche Chinnici viene strappato alla vita e il vuoto si fa sentire molto. Ancora la moglie di Borsellino racconta il legame di Borsellino con Chinnici: "Con Rocco, mio marito ha un rapporto di amicizia e di fiducia intensa e reciproca. Una collaborazione durata tanti anni, fondata sulla massima intesa…per Paolo la sua uccisione è un altro dolore atroce…". Il "capo" del pool, il punto di riferimento, viene a mancare e si ha l’impressione che la mafia, questa entità che tutto vede e tutto osserva, abbia ben compreso lo spirito ed il nuovo modo di lavorare dei giudici siciliani. Borsellino con molta preoccupazione commenta: "La mafia ha capito tutto: è Chinnici la testa che dirige il Pool".
A sostituire Chinnici arriva a Palermo il giudice Caponnetto e il pool, sempre più affiatato continua nell’incessante lavoro raggiungendo i primi risultati: "Sentiamo la gente fare il tifo per noi". Il Pool non vuole sentirsi solo, cerca lo Stato e i cittadini, vuole una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Buscetta, Borsellino sottolinea in ogni momento il ruolo fondamentale dei pentiti nelle indagini e nella preparazione dei processi. Comincia la preparazione del Maxiprocesso e viene ucciso il commissario Beppe Montana . Ancora sangue, per fermare le persone più importanti nelle indagini sulla mafia e l’elenco dei morti è destinato ad aumentare. Il clima è terribile Falcone e Borsellino vengono immediatamente trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi. All’inizio del maxiprocesso l’opinione pubblica inizia a criticare i magistrati, le scorte e il ruolo che si sono costruiti.
Paolo Borsellino chiede il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala per ricoprire l’incarico di Procuratore Capo. Il Consiglio Superiore della Magistratura, con una decisione storica e non priva di strascichi polemici – si veda l’articolo di Leonardo Sciascia sui "Professionisti dell’ antimafia" – accoglie la relativa istanza sulla base dei soli meriti professionali e dell’esperienza acquisita da Paolo Borsellino negando per la prima volta validità assoluta al criterio dell’anzianità. Sicché il 19.12.1986 Paolo Borsellino prende servizio a Marsala dove per cinque anni guiderà una delle Procure più impegnate sul fronte della lotta alla criminalità organizzata. Al centro (Palermo) Falcone e a Marsala Borsellino in modo da scoprire tutti i collegamenti esistenti tra la mafia di Palermo e quella della provincia. Nel corso di questo quinquennio, denso di scottanti inchieste giudiziarie e numerose soddisfazioni personali, Paolo Borsellino è dapprima nominato Segretario provinciale della corrente di Magistratura Indipendente, e, successivamente, Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati. Vive in un appartamento nella caserma dei carabinieri per risparmiare gli uomini della scorta. In suo aiuto arriva Diego Cavaliero, magistrato di prima nomina, lavorano tanto e con passione. Sempre fianco a fianco, Borsellino è un esempio per il giovane, non si risparmia mai. Teme che la conclusione del maxiprocesso attenui l’attenzione sulla lotta alla mafia, che il clima scemi e si torni alla normalità. Per questo Borsellino cerca la presenza dello Stato, incita la società civile a continuare le mobilitazioni per tenere desta l’attenzione sulla mafia e frenare chi pensa di poter piano piano ritornare alla normalità.
Invece, il clima comincia a cambiare. Il fronte unico che aveva portato a grandi vittorie della magistratura siciliana e che aveva visto l’opinione pubblica avvicinarsi agli uomini in prima linea e stringersi intorno a loro, comincia a cedere. Nel 1987 Caponnetto è costretto a lasciare la guida del Pool a causa di motivi di salute. Tutti a Palermo aspettavano la nomina di Falcone al suo posto, anche Borsellino è ottimista. Presto, però, si rende conto che il CSM (Consiglio superiore della magistratura) non è dello stesso parere e si diffonde il terrore di veder distruggere il Pool. Borsellino scende in campo e comincia una vera e propria guerra, parla ovunque e racconta cosa stia accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in televisione nei convegni, continua a lanciare l’allarme. A causa delle sue dichiarazioni Borsellino rischia il provvedimento disciplinare. Solo Cossiga, Presidente della Repubblica, interviene in suo appoggio chiedendo di indagare sulle dichiarazioni del magistrato per accertare cosa stesse accadendo nel palazzo di giustizia di Palermo.
Il 31 luglio il CSM convoca Borsellino che rinnova le accuse e le sue perplessità. Il 14 settembre si pronuncia il CSM Falcone perde e Antonino Meli, per anzianità, prende il posto che doveva essere suo. Paolo Borsellino viene riabilitato, torna a Marsala e riprende a capofitto a lavorare. Nuovi magistrati arrivano a dargli una mano, giovani e, a volte di prima nomina. Il suo modo di fare, il suo carisma ed i suo impegno in prima linea li contagiano; lo affiancano con lo stesso fervore e con lo stesso coraggio nelle indagini su fatti di mafia. Cominciano a parlare i pentiti e le indagini su connessioni tra mafia e politica a prendere forma. Borsellino è convinto che per sconfiggere la mafia i pentiti abbiano un ruolo fondamentale. Anche i giudici, però, dovranno essere attenti, controllare e ricontrollare ogni dichiarazione, ricercare i riscontri ed intervenire solo quando ogni fatto possa essere provato. E’ un’opera lunga ma i risultati non tarderanno ad arrivare.
Da questo momento gli attacchi a Borsellino diventano forti ed incessanti. Le indiscrezioni su Falcone e Borsellino sono ormai quotidiane; si parla di candidature alla Camera o alla carica di Sindaco. I due magistrati smentiscono ogni cosa. Comincia, intanto, il dibattito sull’istituzione della Superprocura e su chi porre a capo del nuovo organismo. Falcone, intanto, va a Roma come direttore degli affari penali e preme per l’istituzione della Superprocura. A Palermo era stato isolato, i magistrati del vecchio Pool vengono ormai assediati all’interno e all’esterno del Palazzo di giustizia. Per questo si sente la necessità di coinvolgere le più alte cariche dello stato nella lotta alla mafia. La magistratura da sola non può farcela, con Falcone a Roma si sente di avere un appoggio in più, Borsellino decide di tornare a Palermo, lo seguono il sostituto Ingroia e il maresciallo Canale. E’ in prima fila e tenta di ricostruire quel clima che, ai tempi del Pool, aveva permesso di raggiungere grossi risultati. Così, maturati i requisiti per essere dichiarato idoneo alle funzioni direttive superiori – sia requirenti che giudicanti – Paolo Borsellino, pur rimanendo applicato alla Procura della Repubblica di Marsala chiede e ottiene di essere trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo con funzioni di Procuratore Aggiunto. Grazie alle sue indiscusse capacità investigative, una volta insediatesi presso la Procura di Palermo in data 11.12.1991 è delegato al coordinamento dell’attività dei Sostituti facenti parte della Direzione Distrettuale Antimafia.
I Magistrati, con l’arrivo di Borsellino trovano nuova fiducia. A Borsellino vengono tolte le indagini sulla mafia di Palermo dal procuratore Giammanco, e gli vengono assegnate quelle di Agrigento e Trapani. Ricomincia a lavorare con l’impegno e la dedizione di sempre. Nuovi pentiti, nuove rivelazioni confermano il legame tra la mafia e la politica, riprendono gli attacchi al magistrato e lo sconforto ogni tanto si manifesta. In una dichiarazione si può riassumere lo stato d’animo di Borsellino in quel momento: "Un pentito è credibile solo se si trovano i riscontri alle sue dichiarazioni. Se non ci sono gli elementi di prova, la sua confessione non vale nulla. E’ la legge che lo dice…e io sono un giudice che questa legge deve applicarla. I rapporti tra mafia e politica? Sono convinto che ci siano. E ne sono convinto non per gli esempi processuali, che sono pochissimi, ma per un assunto logico: è l’essenza stessa della mafia che costringe l’organizzazione a cercare il contatto con il mondo politico. …è maturata nello stato e nei politici la volontà di recidere questi legami con la mafia? A questa volontà del mondo politico non ho mai creduto". Con questa consapevolezza il giudice, invece di scoraggiarsi, si immerge nel lavoro con ancora più convinzione, come se la sconfitta della mafia dipendesse solo dal suo operato e quello dei magistrati che lo circondano. Intanto a Roma viene finalmente istituita la superprocura e vengono aperte le candidature; Falcone è il numero uno ma, anche questa volta, sa che non sarà facile. Borsellino lo sostiene a spada tratta sebbene non fosse d’accordo sulla sua partenza da Palermo. Il suo impegno aumenta quando viene resa nota la candidatura di Cordova. Borsellino esce allo scoperto, parla, dichiara, si muove: è di nuovo in prima linea. I due magistrati lottano uno a fianco all’altro, temono che la superprocura possa divenire un arma pericolosa se in possesso di magistrati che non conoscono la mafia siciliana.
Nel Maggio 1992 finalmente Falcone raggiunge i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore. Borsellino e Falcone esultano, ma il giorno dopo Falcone viene ucciso insieme alla moglie, a Capaci; la mafia sa che in quel posto il giudice Falcone era troppo pericoloso. Borsellino soffre molto, il legame che ha con Falcone è speciale e lui è morto tra le sue braccia. Tutti i momenti trascorsi insieme, da quelli più belli a quelli più brutti, gli tornano alla mente. Dalle prime indagini nel pool, alle serate insieme, alle battute per sdrammatizzare, ai momenti di lotta più dura quando insieme sembravano "intoccabili", al periodo forzato all’Asinara fino al distacco per Roma. Una vita speciale, quella dei due amici-magistrati, densa di passione e di amore per la propria terra. Due caratteri diversi, complementari tra loro, uno un po’ più razionale l’altro più passionale, entrambi con un carisma, una forza d’animo ed uno spirito di abnegazione esemplari. Gli viene offerto di prendere il posto di Falcone nella candidatura alla superprocura, ma Borsellino rifiuta, sebbene sia consapevole che quella sia l’unica maniera che ha per condurre in prima persona le indagini sulla strage di Capaci. Così risponde al Ministro: "…La scomparsa di Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento….". Resta a Palermo, nella procura dei veleni per continuare la lotta alla mafia, diventando sempre più consapevole che qualcosa si è rotto, che il suo momento è vicino.
Ad un mese dalla morte dell’Amico Falcone, tra le fiaccole e con molta emozione parla di lui, cerca di raccontarlo: "Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione….per amore. La sua vita è stata un atto d’amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene. ..Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo, continuando la loro opera…dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo". Vuole collaborare alle indagini sull’attentato di Capaci di competenza della procura di Caltanissetta. Le indagini proseguono, i pentiti aumentano e il giudice cerca di sentirne il più possibile. Arriva la volta dei pentiti Messina e Mutolo, ormai Cosa Nostra comincia ad avere sembianze conosciute. Spesso i pentiti hanno chiesto di palare con Falcone o con Borsellino perché sapevano di potersi fidare, perché ne conoscevano le qualità morali e l’intuito investigativo. Continua a lottare per poter avere la delega per ascoltare il pentito Mutolo. Insiste e alla fine il 19 luglio 1992 alle 7 di mattina Giammanco gli comunica telefonicamente che finalmente avrà quella delega e potrà ascoltare Mutolo.
Lo stesso giorno Borsellino va nella casa del mare, a Villagrazia, con la scorta. Si distende, va in barca con uno dei pochi amici rimasti. Dopo pranzo torna a Palermo per accompagnare la mamma dal medico e con l’esplosione dell’autobomba sotto la casa, in via D’Amelio, muore con tutta la scorta. E’ il 19 luglio del 1992.
Borsellino ha un forte rapporto con la morte; è presente in ogni parte della sua vita. Teme per gli altri, per la sua famiglia, per I ragazzi della scorta. E’ molto protettivo con i suoi collaboratori e con la sua famiglia. Parla spesso della morte un po’ per scherzarci sopra un po’ per ricordarsi sempre che non è poi così lontana. "Se muoio adesso, il mio compito l’ho svolto". Ha visto morire molte persone, uomini di valore morale ed intellettuale e sa benissimo di non essere esente da una fine simile. Eppure a volte scherza con la morte, se ne prende gioco, ci ride sopra con un unico cruccio: quello di aver preparato i propri figli ad affrontare la vita. "Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento…Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno".

domenica 13 febbraio 2011



Da soldato di Cosa Nostra a testimone dei misteri d’Italia

Vincenzo Calcara: Il pentito dimenticato


La battaglia di Salvatore Borsellino


La rilettura degli eventi che costituirono da prologo e intermezzo alle stragi di Capaci e via D’Amelio, conducono ad una conclusione inequivocabile e dolorosa: i segnali di allarme inascoltati si sommarono al deliberato isolamento di cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono oggetto. Le inchieste sulle stragi sono state di recente riaperte, alla luce di un lungo indice di elementi emersi negli anni. Trattasi di componenti che acuiscono l’insorgere di una rabbia e amarezza profonde. Il 23 maggio ed il 19 luglio del 1992, il nostro paese fu privato di uomini straordinari. Alla base della loro scomparsa, oggi più che mai, risultano indubbie e fondate le ipotesi di connivenze tra Cosa Nostra e porzioni delle istituzioni cosi dette democratiche del nostro paese.
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha avviato da tempo una assidua e coraggiosa battaglia per l’affermazione della verità. Nell’ambito di questa, dalla primavera estate del 2008 e con il consenso dell’autore, Salvatore ha dato il via alla trascrizione e pubblicazione sul sitowww.19luglio1992.com. di lettere e memoriali scritti da Vincenzo Calcara. I testi sono poi stati ripresi da vari organi mediatici e lo stesso Salvatore Borsellino, ne sta curando la traduzione in più lingue per la divulgazione all’estero. L’intento dichiarato è quello di consentire al maggior numero di persone al mondo, di conoscere quanto nel nostro paese si cerca di occultare.
Per comprendere le ragioni di questa fondatamente supposta manovra di occultamento, occorre conoscere chi è e soprattutto chi era, Vincenzo Calcara.

“…Dottore io sono un uomo d’onore…e sono quella persona che avrei dovuto ucciderla…”


Nel mese di novembre del 1991 viene arrestato Vincenzo Calcara, mafioso della famiglia di Castelvetrano, capeggiata dall’ex sindaco DC, Antonio Vaccarino. Calcara è un semplice “soldato” di Cosa Nostra, anche se di lungo corso. Già nella seconda metà degli anni ’70 finì in carcere per l’accusa di omicidio di Francesco Tilotta, esponente della mafia di Alcamo. Condannato a 14 anni ottiene la libertà per decorrenza dei termini e fugge in Germania. A Mannheim si ritrovò di nuovo in manette per una rapina ai danni di immigrati turchi. Di nuovo ospite delle patrie galere, veniva ora accusato di alcuni omicidi in qualità di esecutore. Dal carcere di Favignana, da cui in passato era già evaso, l’uomo d’onore richiede espressamente un colloquio con il giudice Paolo Borsellino, al tempo Procuratore Capo di Marsala. Questo avviene il 3 dicembre successivo. Calcara teme per la propria vita. Oltre ad essere il custode di troppi segreti ingombranti, ha infranto una delle ferree regole di Cosa Nostra: ha avuto una relazione sentimentale con la figlia di un altro uomo d’onore. Il detenuto sta valutando la possibilità di iniziare a collaborare con la giustizia, ed è alla ricerca di un referente fidato tra le istituzioni. La conoscenza personale di Borsellino susciterà in Vincenzo sensazioni positive e circa un mese dopo, il 6 gennaio del 1992, nel corso di un nuovo incontro, il mafioso si converte al pentitismo. Si dichiara un “ killer veloce e preciso ”, talmente bravo che i vertici della cosca di Castelvetrano gli affidano l’incarico di eliminare proprio il giudice Borsellino. A ordinaglielo è Francesco Messina Denaro, storico boss morto di infarto ancora latitante nel 1998, nonchè padre di Matteo, attualmente uno dei criminali più ricercati al mondo: “ Mi chiamò Francesco Messina Denaro…”, ricorda Calcara, “ …voleva che mi tenessi pronto per ammazzare il giudice Borsellino. Una volta fatto, sarei partito per l’Australia. Fu li che capii che dopo quell’ultimo incarico mi avrebbero ucciso. Ebbi paura. Quando conobbi Borsellino decisi che avrei raccontato tutto ciò che sapevo. Lui prendeva appunti su un’agenda rossa.”
Calcara lo confesserà al magistrato sin dalle prime battute: …Dottore io sono un uomo d’onore…e sono quella persona che avrei dovuto ucciderla…c’erano pronti due piani…uno prevedeva che le sparassi con un fucile di precisione…l’altro con un attentato avrebbe dovuto avvenire con un autobomba…”.
Borsellino rimase perplesso e un attimo dopo disse: “ Va bene Calcara, mettiamoci a lavorare ”.


Vincenzo “il riservato”


Inizia così la collaborazione di Vincenzo Calcara. Un personaggio unico nel panorama dei pentiti di mafia, in quanto sarà tra i pochissimi a manifestare negli anni e tangibilmente, una reale dissociazione dai valori culturali mafiosi. Pur quale uomo d’onore in apparenza di secondo piano, egli di fatto rientra tra i “ riservati ”. Un riservato non appartiene alla comune gerarchia mafiosa. Vengono affiliati solo dai capi famiglia mediante riti di tipo massonico, per restare segreti a gran parte dell’organizzazione stessa. A loro vengono affidati compiti speciali, così come doveva essere l’omicidio di Borsellino. E’ per questo che Calcara parteciperà a numerose riunioni di vertice. Ma non solo. Fu figlioccio prima e uomo di fiducia poi, dello stesso Francesco Messina Denaro, che gli affidava la protezione del figlio Matteo. Attraverso la frequentazione di Michele Lucchese, imprenditore e politico di Paderno Dugnano, nel milanese, che le sentenze dichiareranno di certa estrazione mafiosa, accresce il proprio prestigio e allarga il giro delle “ conoscenze ”. Calcara fornirà testimonianze che toccheranno un ampio ventaglio di temi infuocati. Un condensato dei misteri d’Italia più scottanti: dal traffico internazionale di droga e armi; ai legami tra la massoneria, la destra eversiva, Cosa Nostra e la politica; alla morte di Papa Luciani e all’attentato a Giovanni Paolo II; alle implicazioni relative al ruolo giocato dal cardinale Marcinkus nelle attività dello IOR connesse alla morte di Roberto Calvi e allo scandalo del Banco Ambrosiano. Egli correlerà il tutto con episodi che lo videro coinvolto in prima persona, incluso quello che a posteriori comprenderà come strettamente legato ai preliminari dell’attentato a Papa Wojityla. Oppure quella circostanza in cui trasportò a Roma due valige che seppe cariche di 10 miliardi di lire: contanti che a Fiumicino consegnò niente meno che al Cardinale Marcinkus in persona. Ma a suscitare maggiore inquietudine sarà la chiave di lettura del contesto socio politico generale. Un quadro appreso e tramandatogli dall’interno di Cosa Nostra e delle sue connivenze. Un tema che nessun altro collaboratore di giustizia ha mai affrontato con la stessa chiarezza.

“Le cinque entità”


In questo estratto oltremodo sintetico dei suoi memoriali, Calcara parla di “..Cosa Nostra…come una di quelle che io chiamo cinque Entità che, con la loro rete segretissima di collegamenti, occupano e influenzano gran parte della vita politica, economica e istituzionale italiana…”. Ad unire le cinque unità “…Una nobile Idea Madre…che racchiude al suo interno le cinque idee corrispondenti alle cinque entità…”. Le cinque entità a cui fa riferimento Calcara, sarebbero la già citata Cosa Nostra e   ‘Ndrangheta, e pezzi deviati di Istituzioni, Massoneria e Vaticano, Servizi Segreti deviati .
 Queste cinque Entità…”, prosegue il pentito,”… sono intimamente legate le une alle altre, come se fossero gli organi vitali di uno stesso corpo. Hanno gli stessi interessi. Prima di tutto, la loro sopravvivenza. E per sopravvivere e restare sempre potenti si aiutano l’una con l’altra usando qualsiasi mezzo, anche il più crudele… …Sono state e rappresentano tuttora una potenza economica incredibile, capace di condizionare in alcuni casi il potere politico italiano, anche quello rappresentato da persone pulite. Purtroppo si sono create delle situazioni tali che il potere politico italiano non può fare a meno di questi poteri occulti. Queste cinque Entità occulte si fondono soprattutto quando ci sono in gioco interessi finanziari ed economici condizionando così l’Italia a livello di politica e istituzioni…"

Ogni entità secondo la ricostruzione di Calcara, agirebbe in perfetta autonomia, senza subire interferenze generate dalle altre, con regole al loro interno “…pressoché uguali a quelle di Cosa Nostra. Ad esempio. Se dentro Cosa Nostra un uomo d’onore viene “posato”, in un’altra Entità si dice “è a riposo”, oppure è “in sonno”… In ogni caso, la sostanza non cambia…”.
A capo di queste “ entità ”, Calcara indica dei potenti “ Triumvirati ”,che a loro volta si riuniscono in una “ Super Commissione ” di 15 elementi, tre per ogni entità. Al suo vertice, un ulteriore “ Super Triumvirato ” i cui componenti vengono eletti con voto segreto e con mandato a vita. Le decisioni di queste figure dal potere assoluto, una volta prese non sono discutibili.
Addentrandosi nelle competenze e nella struttura delle varie entità, Calcara fornisce ulteriori dettagli.

Cosa Nostra costituirebbe il “…braccio più armato di tutte le entità...In questo caso non seconda a nessuno…Le migliaia e migliaia di uomini d'onore che compongono Cosa Nostra sono come un esercito, sono radicati sul territorio e riducono inevitabilmente la Sicilia ad una terra martoriata. Incutono paura al popolo siciliano e impongono la cultura dell’omertà. Ogni bambino che nasce in Sicilia non può fare a meno di respirare quella cultura di morte che Cosa Nostra impone con forza…”.

La porzione dei servizi deviati delle Istituzioni sarebbe radicata in tutto il territorio italiano e …composta da uomini politici, servizi segreti, magistrati, giudici e sottufficiali dei carabinieri, polizia ed esercito. Le idee di Cosa Nostra e dei pezzi deviati delle Istituzioni sono da sempre collegate… Questa Entità ha in seno uomini di grandissima qualità, preparati, addestrati e pronti a causare danni enormi a chiunque. Questi uomini non sono secondi ai Soldati di Cosa Nostra e vengono chiamati Gladiatori. Sono uomini riservatissimi e di grandissima importanza, in quanto hanno giurato di servire fedelmente lo Stato, ma in realtà il loro giuramento è assolutamente falso. Agli occhi dei loro colleghi puliti, che per fortuna sono in maggioranza, appaiono anche loro puliti e, con inganno, dimostrano lealtà verso le Istituzioni…Sono a tutti gli effetti uno Stato dentro lo Stato.

La Massoneria viene definita “…anch'essa strettamente collegata all'Entità dei pezzi deviati delle Istituzioni… Questa Entità della Massoneria deviata, all'interno della Massoneria pulita, ha un grande potere ed enormi ricchezze e, per forza di cose, chi gestisce il potere in Italia deve venire a patti con la Massoneria…

Al riguardo della porzione deviata interna al Vaticano, anch’essa molto ben attecchita nel nostro paese  “…E’ composta da Vescovi, Cardinali e Nunzi Apostolici…Anche loro agli occhi di altri Vescovi e Cardinali, per fortuna in maggioranza (ma nel passato in minoranza) appaiono puliti e fedeli a Gesù Cristo e al Papa.
In realtà sono dei diavoli travestiti da santi, che sfruttano la buona fede di tante persone.
Con un metodo segreto che solo loro conoscono e grazie alla loro diabolica intelligenza, anche se in minoranza, riescono quasi sempre ad ingannare e a manipolare quei Vescovi e quei Cardinali che servono veramente con devozione ed umiltà la Chiesa. A livello nazionale c’erano sguinzagliati alcuni Cardinali di prestigio per inculcare nella mente del popolo italiano il convincimento che la mafia non esistesse e che fosse solo un'invenzione dei comunisti. Il loro intento era quello di indirizzare milioni di persone a votare lo “Scudo Crociato”, la Democrazia Cristiana…
”.
Rimanendo in stretto ambito Vaticano, Calcara afferma che attraverso la Banca dello IOR, sono transitati migliaia e migliaia di miliardi appartenenti alle cinque entità occulte, Cosa Nostra inclusa. Denari riciclati, reinvestiti e ripuliti dalla esperta mano del Cardinale Marcinkus, anche se il religioso americano viene definito …strumento del Cardinale Macchi e del notaio Albano”. A questo ultimo “…venivano affidati ingenti beni immobili (terreni, ville, tenute, palazzi) che venivano intestati non solo a Cardinali e Vescovi, ma anche a uomini di Cosa Nostra, a uomini della Massoneria, a uomini politici e anche a parenti e amici che facevano da prestanome…”.

Una trasversale schiera di figure che il collaboratore di giustizia indica capace di riciclarsi e rinnovarsi nonché di proporsi meschinamente: “…quegli uomini dei "POTERI OCCULTI" degli anni 80-90 che facevano parte delle Istituzioni (comprese quelle Religiose) hanno lasciato degli eredi. Questi eredi continuano a portare avanti ciò che hanno ereditato!
Sicuramente come allora quando il carnefice andava al FUNERALE della VITTIMA anche oggi si fa la stessa cosa
.”
A conclusione della ricostruzione il pentito aggiunge: “Tutto ciò che io dico lo dico con la certezza che nessuno potrà dimostrare che sia falso…Se si vuole, basta che si controllano tutti gli atti notarili o i rogiti che il notaio Albano ha fatto in vita sua.  Il Dr. Borsellino ha saputo riscontrare ciò che dico.
Questi riscontri li ha tutti scritti nella sua agenda rossa!
”.

Una voce inascoltata


Salvatore Borsellino narra di aver conosciuto Vincenzo in epoca relativamente recente, e ironia della sorte, questo era avvenuto negli studi Mediaset, in preparazione di una puntata della serie “Top Secret”.
In realtà Salvatore è come se lo conoscesse da tempo. Di lui gli avevano parlato la moglie ed i figli di Paolo, che lo hanno continuamente aiutato e gli erano restati vicini da quando lo Stato aveva deciso di abbandonarlo.
Distacco che senza mezzi termini il fratello del giudice ucciso definisce, riferendosi alle istituzioni,  “…all’interno della sua costante  opera di scoraggiamento dei testimoni di Giustizia e dei veri (pochi) pentiti…”.
Di Vincenzo gli aveva parlato anche il fratello negli ultimi mesi di vita, narrandogli di un rapporto particolare scaturito dall’incontro con l’uomo che affermava di doverlo uccidere.
Vincenzo Calcara per amore della sua seconda famiglia (la prima lo aveva abbandonato nel momento in cui scelse di collaborare), ha ripudiato totalmente la causa mafiosa, condannandone la cultura violenta e malefica. Per questo lo si può ritenere uno dei pochi autentici pentiti. Con il giudice Borsellino finì per stringere un rapporto che valicò il sentimento di rispetto e fiducia reciproca. Li accomunava la percezione di una morte imminente. Una delle ragioni queste, che indusse il pentito a rivolgersi proprio a Paolo. Attraverso l’esempio di una vita spesa per la giustizia e la verità fornita dal magistrato, Calcara trova la forza di sovvertire i valori che lo avevano cresciuto sin da bambino. Borsellino lo esorterà ripetute volte a non avere paura, scegliendo con coraggio la strada della verità:”Chi ha paura muore ogni giorno…chi non ha paura muore una volta sola…”, gli disse un giorno il magistrato, quando all’indomani della strage di Capaci, Calcara affrontò un momento di smarrimento e terrore.
Oggi Vincenzo vive con la sua compagna e le quattro figlie da lei avute. Ha rifiutato volontariamente la protezione dello Stato, scegliendo di non cambiare identità. Non ha un lavoro che consenta una vita dignitosa a lui e alla sua famiglia. Quello Stato in nome del quale ha compiuto la scelta più difficile della sua vita, sembra averlo dimenticato, lasciandolo alla mercè di chi invece non dimentica mai.
Il suo racconto è decisamente angosciante, ma perfettamente in linea con le motivazioni di svariate sentenze sui misteri italiani dell’ultimo mezzo secolo. Se ne può trovare conferma andando a rileggere le conclusioni dei giudici nel processo Calvi, nel processo Antonov per l’attentato al Papa, nel processo Aspromonte, nei processi Alagna+15 e Alagna+30, nel processo per il delitto Santangelo, figlioccio di Francesco Messina Denaro. Processi che descrivono e a volte purtroppo suppongono soltanto, di connivenze tra più poteri forti. Centri occulti collocati sull’asse politica-mafia-massoneria-IOR.
Per contro, la sua testimonianza non è mai stata messa a confronto con altri pentiti che lo stesso giudice Borsellino interrogò negli ultimi mesi di vita, come Gaspare Mutolo o Leonardo Messina, oppure con Nino Giuffrè, che circa quindici anni dopo, ribadirà nella sostanza, gli stessi racconti di Calcara.



Qualcuno dovrebbe fornire spiegazioni in merito al motivo per cui non fu mai chiamato in causa nel processo che vedrà protagonista Giulio Andreotti. Il nome del notaio Salvatore Albano, venne pronunciato dal pentito in tempi non sospetti. Un uomo Albano, che nella vita professionale collezionò servigi a molti discutibili potenti: oltre che di Andreotti, egli fu il notaio del boss siculo americano Frank Coppola e del corleonese Luciano Liggio. 


Ed infine perché Calcara non depose nei procedimenti sui mandanti occulti per le stragi del 1992, o nell’istruttoria mai giunta in dibattimento, sulla sparizione dell’agenda rossa di Borsellino?
Agenda su cui vennero appuntate le sue testimonianze prima di essere verbalizzate. Eppure il fratello Salvatore ha portato di persona in procura a Caltanissetta, gli stralci del memoriale che trattavano dell’argomento.
Anche e soprattutto per questo, secondo molti, i suoi racconti non sono stati oggetto delle attenzioni che meritavano. La sua modesta estrazione sociale, il linguaggio semplice e a volte condito di espressioni in apparenza fantasiose, hanno concorso al disinnesco della sua attendibilità. Intento nel quale a prescindere, si fondeva l’interesse strumentale di più fronti.
Visionario, mitomane, o testimone di una realtà per nulla immaginaria, che ha visto scomparire come nel caso di Paolo Borsellino e della sua agenda rossa, le minacce più accreditate?
A giudicare dall’impegno profuso dai familiari stessi del magistrato nel sostenerlo, la risposta parrebbe giungere spontanea.


di Ermanno Bugamelli
17 novembre 2009